L’Accademia Fulginia vuole fare gli auguri per il nuovo anno, come è nel suo stile, in modo non stereotipato e, soprattutto, aprendo nuovi fronti nella ricerca e nella conoscenza del patrimonio culturale prodotto in Foligno.
Fortunato Frezza, accademico fulgineo, ci guida nel seguire il Dantis iter in Deum. Con Dante dalla Selva all’Empireo di Giovanni Ambrosi (1886-1972), quarto presidente della “nuova” Fulginia dal 1968 al 1971.
Nel settimo centenario della morte di Dante Alighieri l’Accademia Fulginia di Foligno intende celebrarne la memoria, riscoprendo nel patrimonio librario dei Soci e rileggendo un volume, che sarebbe stato ignominioso lasciar poltrire indisturbato sopra un ignaro piano di scaffale. Associando Dante e Foligno, sarebbe d’obbligo lasciare libero corso all’immaginazione e immediatamente alludere alla prima edizione a stampa della Divina Commedia. Ma non è esattamente questo il caso, ancorché tale intuizione non si discosti troppo dal medesimo ambito mentale, dato che il volume e l’autore vantano una schietta appartenenza folignate, mentre l’argomento è splendidamente dantesco.
Quando nel 1965 fu commemorata la nascita di Dante Alighieri nel settimo centenario, un erudito folignate, Giovanni Ambrosi, futuro presidente dell’Accademia Fulginia, dette alle stampe una singolare opera bilingue dal sontuoso frontespizio, anch’esso bilingue: Dantis iter in Deum. Con Dante dalla Selva all’Empireo. Interpretazione latina di episodi salienti della “Divina Commedia” con il testo dantesco a fronte e sintesi italiana e latina di tutto il poema. Prefazione di Giuseppe Ijsewijn dell’Università di Lovanio, 1265-1965, Settimo Centenario della nascita di Dante Alighieri. Poligrafica F. Salvati, Torino, Stabilimento di Foligno 1965.
Foligno, Museo della Città di Palazzo Trinci, Anonimo (sec. XIX), Ritratto di Napoleone.
Se non fruirono di altri canali informativi, i Folignati (quelli leggenti, ovviamente) seppero soltanto il 12 giugno del 1821 che lo stato di salute di Napoleone Bonaparte non era buono, quando lo appresero dalle colonne della Gazzetta Universale (n. 24), pubblicata in Fuligno dalla Tipografia di Giovanni Tomassinistampatore vescovile e pubblico. I lettori ebbero notizie sull’Uom Fatale fino al 28 di agosto; la nuova della morte, avvenuta il 5 maggio, la conobbero il 24 luglio.
Le basi informative citate dalla Gazzetta Universale furono, fatta eccezione per un dispaccio telegrafico giunto a Londra il 31 maggio (da Batavia/Giacarta via Hampshire, contea quest’ultima sulla costa meridionale della Gran Bretagna), il Courier di Londra che, per primo pubblicò la notizia della morte il 4 luglio; poi The Sun, quindi la Gazzetta della Corte, e ancora il Courier e il Sun, nelle uscite londinesi dei giorni fino al 15 luglio, da cui si trasse la Descrizione della pompa funebre effettuata a Sant’Elena subito dopo la morte di Napoleone; poi il Moniteur e il Journal des Debats di Parigi; nonché il Morning Post, Londra, 5 luglio 1821, dal quale si stralciava un lungo passo (Gazzetta Universale n. 33 del 14 agosto 1821) che mostra l’implicita adesione della Gazzetta ad una certa visione della vita, dell’operato e della dipartita di Napoleone. A commento della fine solitaria di quel “mago” che fu il Còrso, si legge: “Polve è adesso il vincitore superbo: come potrà giubilare il vinto, perché gli sopravvive un’ora, un giorno? Tale è il destino dell’ambizioso, che i più nobili talenti ha impiegato negli usi più criminosi: egli chiude con lenta agonia gli occhi al sonno eterno, senza che in quell’ora tremenda gli rimanga, quasi un amico che gli dica l’ultimo vale…!”
Lo sconosciuto redattore della Gazzetta Universale non dovette leggere direttamente le testate di cui sopra. Lo si evince da due brani che riporteremo più avanti (Parigi 7 luglio; Sant’Elena 7 maggio), tirati fuori parola per parola dalla Gazzetta Piemontese la quale per prima ne aveva dato conto alla Penisola (n. 84, sabato 14 luglio); e che troviamo ora riprodotti nel bellissimo libro di Vincenzo Criscuolo, Ei fu. La morte di Napoleone (Bologna, il Mulino, 2021, p. 82). Gazzetta, la Piemontese, séguita a ruota dalla Gazzetta di Milano (n. 187, 16 luglio), dalla Gazzetta di Firenze (n. 86, 19 luglio), dal Giornale del Regno delle Due Sicilie di Napoli (108, 27 luglio). Escludendo, per evidenti motivi di cronologia, quest’ultimo foglio, la Gazzetta folignate potrebbe aver preso i passi citati dalla testata più prossima, quella fiorentina, ammettendo, ovviamente, che quest’ultima si fosse rifatta pari pari alla consorella Piemontese.
Indiscutibile il sentimento dell’anonimo lettore della “Gazzetta di Firenze” del 19 luglio 1821 sulla notizia della morte di Napoleone Bonaparte.
Se i Folignati fossero rimasti attòniti (per dirla alla Manzoni) dinnanzi alla notizia mortuaria non sappiamo; ignoriamo, altresì, quali fossero state via via le reazioni degli Accademici Fulginei. Eppure, durante gli anni nei quali Foligno (come l’intero Stato pontificio) orbitò nel Napoleonico Impero (1809-14), di Accademici filofrancesi ve ne furono, e, pure, tra quelli più autorevoli. Si trattò di mero opportunismo, utile a tutelare i propri interessi? O vi fu anche l’adesione ad un movimento reale che, nonostante contraddizioni infinite e terribili, sembrava volgere verso il trionfo della modernità?
Del resto non è priva di fondamento l’asserzione di Victor Hugo secondo il quale il Grande Vinto a Roma ha disgregato la teocrazia, in Russia l’autocrazia, in Germania la feudalità, in Inghilterra l’aristocrazia, in Spagna l’Inquisizione. Tutte istituzioni che grazie a lui adesso mandano un suono fesso. Ecco i servigi che ci ha reso. La storia ne terrà conto. Molto gli sarà perdonato perché molto ha distrutto (da Ernesto Ferrero, Napoleone in venti parole, Torino, Einaudi, 2021, p. 255).
Gli accademici Fulginei fedeli all’Impero furono don Giustiniano Poggi, ecclesiastico eminentissimo e dottore in utroque iure; don Antonio Bernardini, osannato cultore delle Scienze Matematiche e Fisiche; don Antonio Marcelli, teologo e storico della Chiesa, la cui valenza di “dottissimo” è giunta fino a noi. Dei tre, il solo vivente nel 1821 era ormai il Marcelli. Tra gli Accademici secolari, “attaccatissimi” all’Impero erano stati (citandoli secondo l’anzianità accademica) il patrizio Mariano Casavecchia, il patrizio e marchese Giuseppe Barugi, i cittadini Francesco Pizzoni artista poliedrico e titolare della omonima Casa Mercantile, Giuseppe Filippini uomo di legge, Filippo Cappellini delicato poeta (votato, nel 1831, ad immolarsi per la Libertà e la Repubblica). Il “linceo”, astrofisico, don Feliciano Scarpellini (nipote del celebre Giuseppe Piermarini), accademico Fulgineo dal 1816 (quando il Còrso stava ormai in Sant’Elena), aveva fatto in tempo ad assidersi sulle scranne del Corpo Legislativo dell’Impero e a ricevere (1805) una medaglia con l’iscrizione Napoleo Francorum Imperator Italiae Rex Feliciano Scarpellini. Tutti viventi, tranne il Poggi, nell’ultimo sabato di Napoleone in vita.
La prima pagina del catalogo inserito da Tomassini in fondo ai libri stampati nel 1821.
Tra i viventi, non figurava più neppure il “gazzettiere” Giovanni Tomassini. Ancora in vita alla data del 18 settembre 1818, quando aveva acquistato una bottega con magazzini annessi e stanze superiori al Trivio, era già defunto il 10 aprile 1820, giorno in cui suo figlio Francesco Saverio comperava la casa al n. 12 di piazza del Grano, che sarebbe diventata la nuova sede della tipografia. E proprio da qui, nel 1821, usciva il primo catalogo delle Opere vendibili nella stamperia di Gio. Tomassini di Fuligno. Ormai diventata Casa Editrice, la Tomassini sarebbe rimasta in auge per molti lustri ancora; come la Gazzetta Universale. Il periodico, iniziato nel 1776 sotto la Ragione tipografica Pompeo Campana, gerenti la figlia Maria e il di lei marito Andrea Sgariglia di Assisi, negli anni 1783-88 passava nella Città Serafica per i tipi di Ottavio Sgariglia loro figlio; quindi di nuovo in Foligno dal 1799 al 1810, per i tipi di Giovanni Tomassini, cognato di Ottavio avendone sposata la sorella Rosa Sgariglia. Sospesa negli anni napoleonici 1810-14, essendo state soppresse le testate locali ed essendo stata centralizzata l’informazione nel dipartimentale Giornale del Trasimeno, il 18 maggio 1814 tornava in luce per i tipi di Giovanni Tomassini; il 31 dicembre 1871, la chiusura definitiva, quando ormai da molti anni era passata nelle mani di Domenico Pacelli Tomassini, marito di Maria Teresa di di Francesco Saverio di Giovanni Tomassini. Un tipografo-editore quest’ultimo, il quale, tradizionalista quanti altri mai, veleggiò tra Rivoluzione e Restaurazione.
Tra i molti contributi che Bellomo ha riservato al Divino Poeta, vogliamo segnalare l’edizione della Commedia predisposta per la Einaudi di Torino. Dopo il volume sull’Inferno (2013), aveva iniziato quello sul Purgatorio (2019, postumo, completato da Stefano Carrai). La morte lo ha colto prima di terminare il lavoro di edizione di questo e del Paradiso.
Le copertine dei due volumi della Commedia di Dante, curati da Saverio Bellomo, pubblicati da Einaudi.
Con l’Accademia Fulginia, il Centro di ricerche Federico Frezzi e l’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, sezione Umbria.
A Foligno, fu grandissimo il tributo alla Unità e Libertà dell’Italia, tributo di sangue, di carcere e di militanza di tanti Uomini e di alcune Donne di provata fede patriottica. Basti ricordare Cesare Agostini, Colomba Antonietti, Francesco Benaducci. Lo si legge nella bellissima sintesi storica (scaricabile qui in pdf) scritta dal professor Giovanni Lazzaroni, il quale, nel 1960-61, era Assessore all’Istruzione e alla Cultura del Comune di Foligno; e come agevolmente si potrà verificare consultando i tre volumetti storici dei quali mostriamo le copertine.
I contenuti dei tre opuscoli, peraltro, sono stati riproposti integralmente nel volume su Foligno e il Risorgimento(286 pp.) che Fabio Bettoni ha curato per le Edizioni Orfini Numeister e che ha visto la luce nel 2012. In quel libro, insieme ad una pregevole introduzione di Sergio Gentili, allora presidente del Consiglio Comunale e lungimirante committente dell’opera, si leggono contributi dello stesso Bettoni e di Rossana Landi, Elena Laureti, Bruno Marinelli, Annamaria Menichelli, Adriano Serafini, Roberto Tavazzi e Paola Tedeschi: tutti Accademici Fulginei, come Silvia Bosi insostituibile coordinatrice redazionale. Molti concittadini hanno chiesto l’opera alla Biblioteca Comunale e l’hanno gratuitamente ricevuta. Forse la Biblioteca potrà esaudire qualche ulteriore richiesta.
Foligno, Palazzo comunale. I Padri della Patria effigiati sulla campana maggiore (in “I Palazzi pubblici di Foligno“, a cura di Fabio Bettoni, Perugia, Quattroemme, 2014, pp. 258-260).
Se ci si domanda che relazione ci sia tra queste parole, l’unica che attira l’attenzione, quanto meno dei folignati, è quella tra Foligno e il cucugnaio. Ma che legame ci sia con il carnevale e soprattutto con Henri Beyle, noto come Stendhal, uno dei maggiori prosatori europei dell’Ottocento, è una curiosità che sarà soddisfatta da chi vorrà tuffarsi nella lettura di questo saggio inedito di Fabio Bettoni il quale, da profondo conoscitore della letteratura francese, ha scoperto il racconto di Stendhal che vi proponiamo in tempo di carnevale, perché la vicenda ivi narrata dall’anonimo gentiluomo italiano fa riferimento al periodo di carnevale di un certo anno.
Nell’edizione italiana di Romanzi e racconti (1826-1839) di Stendhal, curata da Carlo Cordié ed edita da Mursia a partire dal 1965, al riguardo del rapporto che lega i termini che abbiamo posto come titolo, in una nota il curatore scrive: La testimonianza di Stendhal non ci sembra sia mai stata ricordata, nemmeno sotto l’interesse della documentazione del turismo locale (p. 805, n. 23).
Il sito sul quale si erge l’abbazia di Sassovivo si sta rivelando un prezioso giacimento archeo-medievale. Si giustifica pertanto il titolo “Oltre le Carte” con il quale si dà conto di tale valenza archeologica in due splendidi volumi (2014 e 2019) dovuti all’arte editoriale di Fabrizio Fabbri Editore in Perugia.
Oltre le carte sta per “insieme ed oltre” le membrane pecudine sulle quali, dal 1023 e in seguito per più secoli, uno stuolo di notai redasse gli atti prodotti in quel di Sassovivo dai Monaldi prima e dai monaci benedettini poi; carte che, nonostante la loro consistenza ancora notevole, si tratta di circa 8 mila pezzi, sono purtuttavia residuali di un patrimonio membranaceo e cartaceo dall’entità numerica ben più rilevante; carte sulle quali studiosi di archivistica, codicologia e paleografia stanno cominciando a lavorare di bel nuovo.
Con ciò affiancando gli archeologi attivati dall’Associazione Amici dell’Abbazia di Sassovivo (Foligno, via Sassovivo n. 2, tel. 0742.340499), sodalizio al quale l’Accademia Fulginia dà piena collaborazione scientifica.
Ricerca archeologica e indagine storica s’intrecciano dunque in un percorso comune: ne sono protagoniste le nostre AccademicheMatelda Albanesi, Lia Barelli, Maria Romana Picuti, Roberta Taddei, le quali operano con un nutrito numero di studiose e studiosi valenti.
L’edizione 2020 dei Primi d’Italia/Festival Nazionale dei Primi Piatti, che doveva tenersi nei giorni 24-27 settembre è stata annullata.
Proponiamo di leggere un bel libro nel quale grani, semole, paste e pastai sono protagonisti a tutto tondo: Maccaroni vermicelli e tagliolini. Paste alimentari a Foligno tra Seicento e Novecento, di cui sono autori i nostri accademici Fabio Bettoni e Bruno Marinelli. Il libro, pubblicato nel 2019, è stato distribuito dall’Editore “Il Formichiere” di Marcello Cingolani, e comincia così:
Che la pasta alimentare fosse conosciuta e consumata in Foligno e dintorni già nel Cinquecento, lo testimoniano tracce documentarie sporadiche ma significative, come il nome, o soprannome, di «maccarone» che portano il padre di Pierdonato di Trevi, il figlio del defunto Pierangelo del villaggio di Fondi tra i monti di Foligno, il nonno di Piergentile di Sebastiano di Bevagna ed il locandiere Simone di Matteo Trabalsochi del villaggio di Valle; la «cocchiara da maccaroni», presente nell’inventario dei beni ereditari di un altro locandiere, Sante alias Guercio di Bernardino, e di quelli del nobile Celio Nuti; e, forse, la «ratta cascio» o «gratta cascio», che figura tra i beni relitti da Lauro Barbati, fratello del celebre poeta Petronio e suocero dell’altrettanto famoso poeta Vincenzo Jacobilli, e tra quelli reperiti in casa del sacerdote Marchesio Orfini. Ed altrettanto familiare doveva essere, quantomeno nella nobile famiglia Rossi, il tipo particolare di pasta nota come «vermicelli», giacché i fratelli Cristiano, Carlo e Francesco Rossi possedevano in comune alcune case e botteghe in Roma nei pressi di piazza del Popolo, due delle quali condotte in locazione proprio da vermicellari.
Il logo della manifestazione folignate
Maccheroni, lasagne e tagliolini figurano nel tariffario dei generi in vendita nelle botteghe dei pizzicagnoli folignati solo nel 1644 (ma non è da escludersi che vi fossero notificazioni precedenti), e, per avere notizia di una prima bottega nostrana in cui la pasta venisse prodotta meccanicamente e posta in vendita, bisogna attendere il 1648. Questo libro vuole fornire un primo approccio d’insieme, e, muovendo appunto dal ’48, si spinge fino agli anni Trenta del Novecento, con ciò attraversando la lunga fase di transizione dalla bottega artigiana, ove produzione e vendita delle paste si combinavano tra loro, alla fabbrica industriale della Ditta Fratelli Pambuffetti della quale facciamo conoscere il profilo al 1938, anno nel quale poteva dirsi concluso il processo di adeguamento alle nuove tecniche produttive e alle relative tecnologie. Duecentonovanta anni di storia filtrati dai profili biografici di una quarantina di pastai, delineati nei contesti famigliari loro, e relativi contorni sociali.
All’inizio di luglio, Ediciclo Editore (Portogruaro) ha mandato nelle edicole italiane un tascabile titolato Pedala Italia. 20 viaggi in bici per tutti nelle regioni italiane. L’itinerario n. 12 (pp. 84-89) riguarda lo spazio interregionale Umbria-Lazio ed è intestato a La ciclovia delle Marmore/Da Assisi a Orte – 143,8 km in 5 tappe. Con la tappa n. 1, Assisi – Bevagna 28,6 km si consigliano due deviazioni: una a Spello e una a Foligno; della nostra città si scrive: “con il Duomo del XII secolo e Palazzo Trinci, dal nome della famiglia che governò la città dal 1310 al 1439 arricchendola di monumenti. Fine giornata a Bevagna” (p. 86). Tutto qui (a parte la datazione errata di 1310 per 1305).
La copertina della guida degli itinerari cicloturistici folignati.
Per opportuna (e riteniamo necessaria) integrazione, ci permettiamo di suggerire al ciclopedalatore eventualmente “deviante” la lettura di un altro tascabile: Per le campagne amene. Itinerari cicloturistici nella pianura di Foligno; progettato e scritto da Roberto Tavazzi, con la collaborazione amichevole (in archivio e in biblioteca) di Fabio Bettoni e Bruno Marinelli, il piccolo volume da tasca e da zainetto (151 pp.) è stato stampato da Dimensione Grafica Editrice (Spello) nel 2011. Si è trattato di scelta interessante dell’Amministrazione Comunale di Foligno presieduta dal sindaco Nando Mismetti; una scelta fortemente voluta da Massimiliano Romagnoli, allora vice-sindaco con delega allo Sport. In margine, due notazioni: sembra che il libretto, stampato in centinaia di copie, sia andato “a ruba”; l’Autore e i suoi due Sodàli sono membri autorevoli dell’Accademia Fulginia.
Una vicenda al limite, quella narrata da Carlo Parri nel suo ultimo poliziesco titolato Firmato Cardosa (Il Giallo Mondadori, n. 3191, maggio 2020), che racconta dell’ormai celebre (per gli amanti del genere) Leonardo Cardosa, vice questore aggiunto, siciliano d’origine, operante nella Questura di via San Vitale a Roma. Una vicenda al limite, come al limite è il personaggio centrale, dotato com’è di due cervelli: ma non è di ciò che vogliamo scrivere in questa nota, giacché vogliamo dire della celeberrima Madonna di Foligno, il dipinto di Raffaello che nel giallo di Parri occupa un ruolo di assoluto rilievo.
Consegnando il libro al lettore curioso, ci limitiamo ad osservare che in merito al dipinto l’Autore si è concesso larghe libertà: è del tutto legittimo, per carità; ma non è chiaro se quanto egli scrive sull’opera dell’Urbinate sia frutto di consapevole scelta creativa, o, piuttosto, il risultato di una scarsa conoscenza dell’argomento.
Il Bollettino XXXVII (2014)
Senza addentrarci sulla questione, indirizziamo lo sguardo di chi ci sta leggendo sul paesaggio rupestre-turrito dislocato sotto l’arco dell’Iride e la Madonna, paesaggio su cui Parri-Cardosa imbastiscono qualche congettura fondamentale nell’economia del plot narrativo. Sul significato di esso e, in particolare, del suo frammento turrito, il discorso resta apertissimo; tra le possibili interpretazioni, indichiamo come estremamente stimolante quella prospettata da Mario Sensinel brillante saggio su La “Madonna di Foligno” e il suo committente Sigismondo dei Conti di Antignano, alle pp. 101-110 del BSCF, XXXVII (2014).
Qualcuno sarà sorpreso dal fatto che seriosi Accademici Fulginei si dedichino, magari da gran tempo, alla lettura del genere poliziesco, ed in particolare di quello italiano. Tra gli scrittori più vicini nel tempo, Parri, ad esempio, ci ha fatto conoscere il suo poliziotto nel 2012, quando esordì con Il metodo Cardosa, romanzo che vinse il prestigioso Premio Tedeschi di quell’anno (Il Giallo Mondadori, n. 3068). Un approccio tra induzione e deduzione che non sarebbe sfuggito ad Antonio Gramsci, il quale, scrivendo e annotando dal carcere nel quale era stato rinchiuso dal fascismo, non mancava di fare le proprie acute osservazioni su di un segmento della letteratura popolare come il “giallo”, da noi agli albori. (Se ne possono vedere le note ora assemblate in A. Gramsci, Sherlock Holmes e Padre Brown, a cura di C. Daniele e J-L. Ska, introduzione di A.Zuccari, Torino, Marietti, 2019.)
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