3. Il carnevale e il cucugnaio

seguito da: Stendhal e Foligno

Da bravi borghesi, i Folignati che disponevano di risorse mostrarono sul versante delle transazioni economiche di non avere alcun pregiudizio; ben altri – e qui sta lo slittamento del piano narrativo – erano i versanti sui quali il peso della tradizione era senza pari:

Tuttavia – scrive il narrante gentiluomo – il popolo di Foligno è ben lontano dal non avere pregiudizi; un semplice fatto servirà a dare un’idea della superstizione degli abitanti. Si narra che durante il carnevale di un certo anno, nel tempo della mascherata, si videro dei diavoli ballare sul sagrato della chiesa di San Feliciano. Il popolino ignorante fece subito delle processioni per rompere l’incantesimo, e si decise che ogni anno il carnevale sarebbe stato interrotto per una settimana. Questo intervallo è chiamato “gli otto giorni del Cucugnaio” (in italiano nei due testi). Cercammo con ogni mezzo di sradicare il pregiudizio, ma inutilmente. Quegli infelici continuarono a credere che se qualche maschera si fosse mostrata durante la fatale settimana, i diavoli avrebbero ricominciato subito le loro danze sul sagrato della chiesa.

     All’inizio dell’Ottocento, dunque, il carnevale folignate sembra subisse un’interruzione di otto giorni; potremmo situare l’intervallo nei giorni tra il giovedì grasso e il mercoledì delle Ceneri, poiché all’uno e all’altro estremo di quella settimana si davano sfrenamenti del tutto eccezionali (e i documenti disponibili lo attestano) e questi dovevano essere tali da giustificare il temporaneo ripristino di una più regolare quotidianità; all’origine dei giorni del Cucugnaio, vedo l’intensa campagna contro il carnevale sviluppata nella seconda metà del Cinquecento dal pio Giovanni Battista Vitelli (l’«inimico perpetuo del carnevale»), campagna costellata di processioni, quarant’ore e comunioni.

     Il Cucugnaio sembra indicare un modo di danzare carnevalesco, particolarmente dirompente, demoniaco per la valenza sfrenata e profanatrice; lo collocherei, appunto, al giovedì grasso, dopo il qual giorno era da osservarsi una sospensione, già preludente, con la breve pausa dell’ultimo di carnevale, alla quaresima. Nel corso del tempo, il cucugnaio dovrebbe aver assunto un connotato simbolico dai contorni via via sempre più sfumati, tanto da implicare quei molteplici significati di cui avrebbe scritto Faloci Pulignani nella seconda metà dell’Ottocento, che rinviavano alla civetta, la cuccugna; o alla parlata folignate ritenuta simile al canto stridulo di quell’uccello; o allo zecchino popolarmente detto occhio di civetta; o alla civetta messasi a cantare il cuccugnao sulla cupola della cattedrale tra lo stupore e lo sconcerto dei Folignati, i quali, notoriamente superstiziosi e rozzi, avrebbero preso lucciole per lanterne, facendo diventare civetta la colomba trinitaria raffigurata sull’elevato apparato rituale che per la Pentecoste si allestiva all’esterno della cattedrale.   

      Per ciò che mi risulta, e a prescindere dall’origine del mito, del termine e della tradizione, nessuno mai del cucugnaio aveva dato testimonianza scritta prima degli anni 1825-1826: né qui, né altrove. Quanto all’eco europea, ritengo che questa dei Souvenirs sia da considerare la prima citazione in assoluto. E l’ultima.