
Francesco Innamorati

2015 – 25 maggio – 2025
Nella ricorrenza del decennale della scomparsa di mons. Mario Sensi, l’Accademia Fulginia, che l’ha avuto come Presidente dal 2006 al 2015, intende onorarne la memoria con queste testimonianze:
Mons. Mario Sensi nel ricordo del Magistero Accademico in «Accademia Fulginia Notizie» a pag. 15 del bollettino della Pro Foligno.
Mons. Mario Sensi nel ricordo del card. Giuseppe Betori, arcivescovo emerito di Firenze.
Orizzonti della Marca, Anno XIII – n. 18 – 10 maggio 2025, p. 3
Fabio Bettoni, Mario Sensi, uno storico tra Umbria e Marche
Giuseppe De Rosa, Memorie personali (e camerti)
Sensi postumi del card. Fortunato Frezza
Fabio Bettoni: Mario Sensi, un «prete obbediente, uno studioso, un amico», in «Marca/Marche» 24/2025, pp. 296-301 – AndreaLivi Editore.
Sensi Mario – di Luciano Osbat. Scheda biografica per il Dizionario Storico Biografico della Tuscia – https://www.gentedituscia.it/ (a cura del CERSAL – Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio)
Un breve profilo bio-bibliografico in questo sito alla pagina dei Presidenti
Ancora oggi a Colfiorito, così come in altri paesi degli Altipiani di Plestia, in occasione di alcune festività religiose si svolgono processioni che hanno origini piuttosto antiche; la più caratterizzata tra queste è la Processione del Cristo Morto. Colgo l’occasione di questa breve nota, per scrivere di una tradizione che riguarda la mia famiglia e che “rivelo” per la prima volta. La madre di mia madre si chiamava Olga Ricci, figlia di Domenico di Cupigliolo e di Carolina Ferri di Colfiorito. Nata a Colfiorito nel 1897, mia nonna, all’inizio del Novecento, scendeva in Foligno con tutta la numerosa famiglia Ricci-Ferri, a cercare miglior fortuna. Tanto Olga, quanto Vittoria sua figlia e mia madre, rimasero sempre ancorate al paese, ove mantennero legami parentali saldissimi (Rosa Ricci, la zì’ Rosina, la sorella maggiore di Olga, sposò Quinto Cellini, e lì vissero con i propri figli), come saldissimi restano i miei e quelli di mio fratello Roberto con i figli dei figli di Rosa. Ebbene, un giorno, nonna Olga raccontò che a promuovere nel 1870 il ripristino della Processione del Cristo Morto era stato Andrea Ferri di Sante, padre di Carolina, nonno di Olga: insomma, uno dei miei trisavoli. Qualche tempo dopo, andammo a Colfiorito la sera di un Venerdì Santo. Nonna vide “passare” la processione con vera, rinnovata emozione.
Confermò che l’evento si stava riproponendo nelle modalità a lei note. La processione si snodò per le oscurate vie di Colfiorito ed era aperta dai penitenti, una ventina di uomini vestiti di sacco, incappucciati e scalzi, che trascinavano lunghe catene di ferro e recavano sulle spalle croci in legno di quercia, di peso variabile a seconda della capacità fisica del penitente. La sequenza era intercalata da dieci crociferi, portatori di grandi croci cave, ricoperte di carta colorata e, all’interno, illuminate da candele. Seguivano dodici bambine, biancovestite, recanti gli strumenti della passione nelle loro mani. Preceduto dal clero, comparve poi, sorretto da quattro devoti, il cataletto con il Cristo morto, affiancato da un soldato a cavallo, con la lancia puntata verso il Cristo, detto Giuda, vale a dire giudeo, secondo un possibile retaggio dei misteri che forse anticamente erano rappresentati nella processione. (Osservo che, nonostante gli sforzi della Chiesa cattolica di cancellare – a datare dal Concilio Vaticano II – le moltissime ombre antisemite che ne hanno oscurato il cammino, il passato si fa tradizione e le sue inerzie diventano incancellabili!) Seguiva il gruppo maschile di cantori che intonava il Miserere mei Deus (Salmo 50) a più voci, alternandosi con il coro femminile, composto (come d’obbligo) di sole ragazze non sposate, le quali cantavano il monodico Stabat Mater di fra Jacopone da Todi. Infine, apparve il simulacro dell’Addolorata, sostenuto in spalla da quattro giovani.
Don Mario Sensi, storico insigne ben noto ai Camerinesi, per molti anni parroco di Colfiorito (dal 1963), ha lasciato varie memorie sul rituale; in un testo del 1998, leggo: l’evento «segue uno schema coniato nell’ultimo quarto dell’Ottocento e sostanzialmente mai più rivisitato: non un corteo storico, ma una processione penitenziale, uno dei riti più belli e caratteristici dell’Umbria». Esso rimanda «alla tipologia del funerale e al corteo che inizialmente si teneva in chiesa dopo il rito della deposizione di Cristo dalla Croce, detto schiavellazione, in quanto l’azione paraliturgica iniziava con l’estrazione dei tre chiodi. Mentre i misteri rimandano alle sacre rappresentazioni. La processione fu riesumata alla fine dell’Ottocento, ma, come risulta da documenti notarili, l’origine di questa processione risale al Medioevo: di certo agli inizi del Quattrocento la si celebrava nel vicino santuario di Plestia, dove si lucrava pure un’ampia indulgenza»; finché nel 1539 Paolo III proibì questa paraliturgia investendo insieme a Colfiorito tutte le località della cattolicità che avevano la consuetudine di effettuarla. Una volta ripristinata, scrive ancora Sensi, la processione «non è stata mai interrotta, neppure quando, durante l’ultimo conflitto mondiale, c’era penuria di uomini validi. Le mogli si sentirono allora in dovere di sostituire i loro mariti, richiamati alle armi, fungendo chi da penitente, chi da crocifero, chi da porta-cataletto. Fattore di aggregazione, ma soprattutto una suggestiva cerimonia dal profondo messaggio religioso. I simboli della passione: mano, dadi, chiodi, tenaglie, martello, spugna, Veronica, calice ecc. (un indice puntato: chi ha colpito, chi ha tradito, chi ha crocefisso, etc. sei stato tu) e la visione del cadavere di Gesù e della disperazione della Madre, la cui statua segue il feretro, conducono il fedele a meditare sulle proprie responsabilità e far penitenza dei propri peccati”.
Da molti lustri, l’etnomusicologia italiana si occupa del Miserere e dello Stabat Mater di Colfiorito. Un esponente primario di quella Disciplina a livello nazionale è il compositore folignate Pier Giuseppe Arcangeli (il mio amico Dante Santoni1 mi ha confermato che i Colfioritani hanno tuttora un punto di riferimento imprescindibile nel professore). Arcangeli (al quale mi lega un’antica amicizia) ha dedicato analisi storico-critiche fondamentali al repertorio processionale. Ho sotto gli occhi un suo testo del 1990 nel quale, del Miserere nota la «grande suggestione culturale»; e, quanto allo Stabat Mater, ne rileva un «impianto arcaico, pur essendo dotato di una originalità espressiva decisamente minore, per motivi da ricercare nelle modalità della sua trasmissione tradizionale, ma certo almeno in parte anche per effetto di un’interdizione che deve aver pesato non poco, per quasi due secoli, sulla componente femminile della processione”. Lo Stabat, interdetto dal Concilio di Trento, fu riammesso (1737) ufficialmente nella liturgia da Benedetto XIII. A partire dal 1984, il repertorio polivocale di Colfiorito ha trovato una sua proiezione internazionale che si è consolidata via via. Si veda in proposito la raccolta (1987) Canti liturgici di tradizione orale a cura di P. G. Arcangeli et Alii, riproposta nel 2011 dalle Edizioni Nota-Valter Colle di Udine.
Il prof. Paolo Raspadori
storico dell’età contemporanea, Università degli Studi di Perugia
presenta il volume
di Maurizio Coccia
Pubblicata col numero 20 nella collana Culture Territori Linguaggi dell’Università degli Studi di Perugia (www.ctl.unipg.it), l’opera prende spunto da una curiosa tradizione dell’onomastica navale e percorre oltre un secolo e mezzo di storia della mari-neria di tutto il mondo. L’avvio è nel nome di un pirovapore della compagnia Rubattino, che negli anni ’60 e ’70 dell’800 fa la spola tra Civitavecchia e la Sardegna, ospitando a bordo anche Giuseppe Garibaldi. Il piroscafo si chiama Umbria, nel patriottico disegno ancora tutto risorgimentale di “fare gli italiani” e unificare la Penisola coi nomi delle navi. È solo la prima di una serie di navigli che porta nelle acque del globo il nome di una regione senza sbocchi marini. Nel paradosso, sorprende poi la fortuna delle navi Umbria nell’onomastica d’oltreoceano. Il libro, basandosi su dati d’archivio e dei registri navali nazionali e interna-zionali, riporta alla memoria viaggi e avventure, significati ed esiti, immagini e caratteri di quaranta imbarcazioni tra mercantili e militari. Su di loro, il carico di speranza e miseria, sudore e lusso di un’infinità di storie.
Link alla Notte internazionale: https://www.geonight.net/
Link all’evento umbro: https://www.geonight.net/25285-2/
L’immagine, tratta dalla copertina del volume, è opera di Antonio Coccia
Sul volume di Coccia da segnalare la significativa recensione di Fabio Bettoni pubblicata sul volume CXIX (2022) del Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, pp. 309-311.
di Stefano Andres
dalla GAZZETTA DI FOLIGNO del 15 dicembre 2024
Come annunciato, venerdi 6 dicembre è stato presentato a palazzo Trinci il libro intitolato Magister Marcus Rasilius de Fulgineo, poeta eximius. Relatori due illustri italianisti: i professori Simone Casini dell’Università di Perugia e Andrea Comboni dell’Università di Trento. Il volume raccoglie gli Atti del convegno nazionale sul medico e poeta Marco Rasilio († 1508), tenutosi nei giorni 21 e 22 ottobre 2022. A cura di Sandro Gentili ed Elena Laureti, l’opera (434 pp.) reca la Presentazione di Gentili, professore nel Dipartimento di Lettere dell’Università di Perugia, e la Prefazione di Laureti, presidente del Centro di ricerche Federico Frezzi cui si deve l’edizione in collaborazione con Michelangelo Spadoni Editore di Spoleto.
Per i legami del Rasilio con i Montefeltro, all’apertura della prima sessione del convegno è intervenuto Tommaso di Carpegna Gabrielli Falconieri (Università di Urbino) in rappresentanza del “Comitato nazionale per le celebrazioni del Sesto Centenario della nascita di Federico da Montefeltro”. Hanno presieduto le altre sessioni: Amedeo Quondam, il quale di recente è dolorosamente deceduto ed è il Dedicatario in memoriam degli Atti, Gentili, e Salvatore Ritrovato del’Università di Urbino. Le relazioni pubblicate negli Atti sono le seguenti: Maria Biviglia e Federica Romani (Centro Frezzi), I documenti d’archivio su Marco Rasilio, John Butcher (Centro Studi “Mario Pancrazi”, San Sepolcro), Elegia, epopea e retorica a Perugia e dintorni ai tempi di Marco Rasilio; Alessandro Carlomusto (Roma Sapienza), La lirica di Marco Rasilio tra Corte e piazza; Erminia Irace (Università di Perugia), La Conversione di santa Maria Maddalena di Marco Rasilio e la circolazione dei libri popola-ri in Italia tra XVI e XVII secolo; Elena Laureti, Marco Rasilio, poeta d’amore. L’Epistola a Elisabetta Gonzaga e…l’Egloga a Procula: un corpo senza cor non po star vivo; Maiko Favaro (Roma Sapienza), Tra allegoria e parodia. La Frottola de Cento romiti e i suoi rapporti con la tradizione letteraria; Giulio Vaccaro (Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea-CNR, Roma, e Università di Perugia), Cose varie e a noi incredibili: il “Viaggio di LXXX Eremiti”; Matteo Largaiolli (Università di Trento), Metrica e generi nella “Froctola del giovane che per amore si fece eremita” di Marco Rasilio; Matteo Bosisio (Università di Milano), Velame bucolico e squarci autobiografici: l’egloga ‘Ove ito so’ di Marco Rasilio; Anna Rita Rati (Università di Perugia), Un inedito rifacimento in versi della Circinia di Marco Rasilio; Stefano Andres (Università di Pisa), Arti magiche, mostri, demoni e meraviglie. Spigolando tra le opere di Marco Rasilio; Franco Arato (Università di Torino), “Di varia e stravagante testura”. Rasilio e altri “irregolari” nella storiografia secentesca, Giovanna Lazzi (già Biblioteca Riccardiana di Firenze), Marco Rasilio illustrato; Cristina Moro (Università di Pisa), Tra bibliografia e bibliofilia: un viaggio attraverso le edizioni cinquecentesche delle opere del Rasilius. Dal canto loro, le pagine di Gentili nella Presentazione, e di Laureti nella Prefazione sono una bussola d’orientamento per i lettori. Nel primo caso propongono una sintesi esemplare sull’insieme dei saggi; nel secondo, pongono stimolanti quesiti circa i rapporti di Rasilio con i Montefeltro, il ruolo di Niccolò Zoppino, ferrarese, stampatore in Venezia dal 1505, nella prima fortuna di Marco, gli eventuali legami non solo letterari del medico-poeta con Pietro Aretino. Scrittore eclettico, Rasilio sperimentò numerose forme letterarie; ebbe una certa notorietà nei primi decenni del Cinquecento, per essere poi dimenticato a lungo. Un’identità meno evanescente esce fuori dai contribuiti di Biviglia e Romani da un lato, e di Butcher dall’altro. Le prime hanno studiato trentatré rogiti notarili (1451-1508), del tutto inediti o già da loro stesse resi noti ma qui esaminati di nuovo; il secondo ha inquadrato il Nostro nel contesto letterario perugino, di gran lunga il più fertile nell’Umbria di quel tempo. La data di nascita del poeta resta tuttavia incerta, collocandosi intorno al 1468; l’espressione artistica a datazione più alta va fatta risalire al 1507: una Predica d’amore nel Compendio di cose nuove, uscito dai torchi del citato Zoppino. Sulla data di morte, si resta al 15 novembre 1508 così come la fissò Lodovico Jacobilli nella sua Bibliotheca Umbriae (1658). Negli Atti, sono sottolineati i legami di Rasilio con la corte dei Montefeltro (si legga-no Carlomusto e ancora Laureti su Rasilio poeta d’amore). Vi sono tuttavia indizi che possono ricondurre Marco alla corte senese di Pandolfo Petrucci cui venne dedicato il Viaggio di LXXX Eremiti al Paradiso Celeste, ovvero quella che può essere vista come l’edizione primiera della Frottola de’ Cento Romiti (si leggano Vaccaro e Largaiolli). E appunto nella Frottola de’ Cento Romiti e nella Conversione della Maddalena (Irace, Moro, Vaccaro, Arato), le fortune incrociate del Poeta e del suo Editore trovarono solide basi. Si trattò di due approcci letterari fondamentali di un Rasilio colto, nutrito di letteratura latina, di autori greci conosciuti quantomeno in traduzione latina come Luciano di Samosata, la Bibbia, Jacopo da Varazze, Jacopone, Dante; nutrito di tradizioni popolari medievali, di scritti coevi di ambito allegorico, della poesia quattrocentesca e del primo Cinquecento, e di testi ermetici e di argomento magico (Rati, Favaro, Laureti, Bosisio, Largaiolli, Andres). L’evento è stato coordinato da Paola Tedeschi, consigliera del Centro Frezzi; sono intervenuti Alessandra Leoni, assessora alla Cultura del Comune di Foligno, e Massimo Carcani Bartoli, presidente onorario del Centro Frezzi; nonché il professore Gentili per i due curatori degli Atti. L’iniziativa editoriale ha trovato il sostegno determinante del Comune di Foligno, della Fondazione Carifol e del Gruppo Bartoli.
Organizzata dalla Direzione regionale Musei Umbria per ricordare Dorica Manconi, archeologa del Ministero della Cultura di grande spessore professionale e umano, accademica fulginea, prematuramente scomparsa, la giornata di studi
La giornata di studi si svolgerà sabato 26 ottobre 2024 dalle ore 10:00 alle 18:00 presso il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria
Il programma della giornata di studio in: https://www.musei.umbria.beniculturali.it/eventi/oltre-il-tempo-dorica-manconi-e-larcheologica/
Pubblicato il Supplemento n. 20 del Bollettino Storico della Città di Foligno con gli Atti del Ragguaglio accademico del 2019.
Il volume, pubblicato dall’Accademia Fulginia, è stato curato da Paola Tedeschi con la prefazione di Fabio Bettoni.
FABIO BETTONI, Prefazione. Una proposta di ricerca
PAOLA TEDESCHI, Introduzione
GABRIELE METELLI, I Barnabò. Un casato nobiliare nel modulo oligarchico folignate
BRUNO MARINELLI, Alessandro Barnabò (1715-1779). Appunti per una biografia
FABIO BETTONI, ELENA LAURETI, Alessandro Barnabò letterato e poeta
Appendice I – Note prosopografiche. Una selezione
Appendice II – Da Foligno per la Repubblica letteraria degli Umbri. Soci al 1762
Appendice III – Foligno e Giuseppe II (1769)
ELENA LAURETI, Serti poetici
PAOLA TEDESCHI, Le carte Barnabò e le carte di Alessandro Barnabò
ANNA MARIA RODANTE, Alessandro Barnabò, cultore di araldica
LUCIANO PIERMARINI, Due segni dei Barnabò nella città e nel territorio di Foligno
LUCIA BERTOGLIO, EMANUELA CECCONELLI, Palazzo Monaldi Barnabò
Appendice I – Residenze Barnabò entro la cinta muraria di Foligno
Appendice II – Oratorio di Palazzo Monaldi Barnabò
Appendice III – Oratorio Barnabò della Tenuta del Palombaro
Appendice IV – Descrizioni del Palazzo
Appendice V – Gli affreschi quattrocenteschi
ATTILIO TURRIONI, Sintesi conclusiva
Album fotografico
Maurizio Coccia in Gazzetta di Foligno, 8 settembre 2024
Maurizio Coccia in Foligno, Bollettino della Pro Foligno, Accademia Fulginia Notizie
Don Dante Cesarini è morto il 21 aprile. Cappellano del Papa, nostro Accademico Ordinario (dal 1981), ha dedicato una parte importante della sua attività culturale alla ricerca storiografica, con precipue riflessioni sui rapporti tra storia sociale, storia della cultura e storia umana di coloro i quali, con la propria vita, hanno costituito un modello esemplare.
In questo quadro, le “vite” di taluni uomini di Chiesa hanno avuto la parte maggiore: pensiamo ai sacerdoti folignati Consalvo Battenti, Ernesto Caterini, Pietro Corradi, Mario Sensi: sui quali ha scritto in contributi che vanno dal 1978 al 2018. Si tratta di studi
che hanno accompagnato l’avvio dell’Archivio del Movimento Cattolico Folignate Contemporaneo i cui primi passi si dovettero a Cesarini nel contesto del Sinodo Diocesano indetto e realizzato (1986-1991) dal vescovo Giovanni Benedetti, e si sostanziarono nel volume a più voci Storia Religiosa e Civile Folignate. Miscellanea I (1990).
Direttore della “Biblioteca Lodovico Jacobilli” (2003-2020), non poteva non intrattenersi con due preti folignati a quella istituzione molto legati: il fondatore, Jacobilli appunto,
il grande agiografo seicentesco; e Francesco Conti, impareggiabile direttore-riorganizzatore della medesima (dal 1974 al 2003, anno della morte).
Ma, al di là del nostro perimetro folignate, nella sua qualità di teologo e filosofo (cultore di Karl Popper, sulla scia del suo e nostro amico Dario Antiseri) ha rivolto un’attenzione costante (dal 1999) verso ecclesiastici del “movimento” Modernista cattolico quali Ernesto Bonaiuti, Umberto Fracassini, Francesco Mari (anche nei loro confronti con Alfred Loisy, Gaetano De Sanctis, Giuseppe Ricciotti e Luigi Salvatorelli), scrivendone in saggi poi raccolti (integrati e rifusi) nel volume Tra storia e mistica. Studi sul Modernismo cattolico (2008, 364 pp.).
La stessa logica analitica e interpretativa scorre lungo le pagine su due esponenti di primo piano del laicato cattolico folignate: Stefano Ponti (1991) e Luciano Radi (2008). Se, come nel caso di Giuseppe Piermarini, l’architetto neoclassico fiorito nel Settecento, la scrittura si sostanzia esclusivamente di una puntuale, tuttora imprescindibile ricerca bibliografica (1983, 327 pp.), questa, tuttavia, non è una elencazione fredda di titoli che hanno riguardato il celebre Concittadino nostro, bensì l’esempio di un approccio partecipato, ad un tempo didascalico e didattico. Ciò vale pure per quanto scrisse sulla fortuna critica di Niccolò di Liberatore detto l’Alunno (1985), sulla beata Angela nella visione agiografica di Jacobilli (2009), e sulla spiritualità dello stesso Agiografo (2013).
Tra storia e antropologia, Cesarini lasciò un Dialogo con la Cultura, che egli stesso ha definito appunti per un corso all’Istituto Teologico di Assisi (2007-2009, biennio di Teologia
Fondamentale); se ne coglie l’eco in una brillante intervista rilasciata (2010) al professore Guglielmo Tini, per il libro Spendersi è il loro guadagno. Interviste ai sacerdoti della Diocesi di Foligno, pubblicato sotto gli auspici del vescovo Gualtiero Sigismondi nell’ambito dell’Anno Sacerdotale voluto da Benedetto XVI. A proposito di teologia come «incontro di diversi universalismi», Cesarini sostenne che il «primo passo» di tale incontro risiede nel «riconoscere Gesù-Messia», ovvero il «coagulo di speranze», uno «scrigno di attese», «senza nulla togliere a Maometto profeta e ai libri sacri indù»; del resto, «Messia non significa Figlio di Dio», bensì «risposta dall’Alto tra altre risposte dalla trascendenza». E questa prospettiva dialogica, aggiunse don Dante, potrebbe essere accettata anche dall’ebraismo, «nel senso di Gesù Messia dell’ultimo tempo, cioè non adesso ma al suo ritorno». E non si nascose trattarsi di una prospettiva sul tempo lungo; l’unica, tuttavia, «che avrebbe anche un valore terapeutico contro conflitti esacerbati e preconcetti astiosi. In attesa che tutti esclamino avanti a Cristo ‘Mio Signore e mio Dio!’».
Sulla tematica del dialogo, Cesarini veniva da lontano. Molti anni fa, quando animava il mondo di Gioventù Studentesca e degli Universitari Cattolici, fece conoscere Marxismo e Cristianesimo di Giulio Girardi, prete salesiano, libro che ebbe la prefazione di Franziskus
Koenig, cardinale primate dell’Austria, e fu stampato (1968) da Cittadella Editrice di Assisi. Diversamente da Girardi, il quale avrebbe abbracciato la Teologia della Liberazione e poi sarebbe stato ridotto alla condizione lacale, Cesarini rimase nella più organica ortodossia. Ma c’è chi ancora ricorda l’equilibrio con il quale presentò al pubblico quel testo.
Il ricordo di don Dante Cesarini anche in Accademia Fulginia Notizie (pag. 15 di Foligno. Bollettino della Pro Foligno, n. 5 / 2024) a cura del Magistero Accademico. In questo sito.
Presentano il volume:
Stefano Andres (Università degli Studi di Pisa)
Matteo Bosisio (Università degli Studi di Milano)
Sarà presente l’Autrice.
presentazione del libro
Conversazione con Fausto Gentili
a cura di Stefania Proietti
(Edizioni Era Nuova 2024).