Francesco Pizzoni

     Nel 1821, un solido tratto di anzianità Fulginea caratterizzava Francesco Pizzoni (1762-1830), di casato che al 1828, attraverso la rappresentanza del fratello Cesare (n. 1758), risultava annoverato nell’Albo delle Famiglie Nobbili, di Cittadinanza, ossia secondo Ceto; in verità, nel 1811, era stato il Nostro a figurare nella Liste de Cent plus fort Contribuables de la Commune de Foligno. Accademico dal 1795, segretario del Sodalizio per due mandati nel 1810 e dal 1815 al ’30, Francesco fu una colonna portante della Fulginia. Bragazzi, nel suo Compendio già citato, fa notare che il tema del paesaggio ebbe in lui un “cultore riputato” come mostra, tra le altre opere, “un quadro che esiste nell’Accademia di Belle arti della Università di Perugia della quale era Socio onorario”; e ricorda che fece i suoi “studi pittorici” in Roma “sotto il professor Corvi e furono suoi condiscepoli il Landi ed il Camuccini”, ma interruppe il suo itinerario formativo per tornare in Foligno a “curare gli affari” e trasandò la “geniale occupazione”, talché “questa non riassunse che tardi”; peraltro, sempre a dire di Bragazzi, se fu “riputato” paesaggista, “non fu del pari felice nella figura”. Alle scarne notizie fornite dal periegeta sull’attività artistica di Pizzoni, si possono aggiungere il grande dipinto con San Francesco tra i dirupi della Verna (1826 ca), che si vede in Cattedrale (braccio destro della crociera); e le tele tanto policrome quanto monocrome che si ammirano tuttora in palazzo Brunetti Candiotti: attribuzione proposta dallo storico dell’Arte Vittorio Casale con ragioni convincenti che smentisce l’asserzione bragazziana tendente a sminuire il profilo di Pizzoni quale artista di “figura” (le tele raffiguranti Erminia scopre Tancredi ferito, ed Erminia cura Tancredi sono riprodotte in F. Bettoni, B. Marinelli, Foligno. Storia, arte, memorie nel centro antico, con appendice epigrafica a cura di R. Tavazzi e A. Turrioni, Foligno, Edizioni Orfini Numeister, 2018, pp. 157-158). Dal punto di vista politico, il suo fu un tratto tutt’altro che incolore. Aderente alla Repubblica Giacobina del 1798-99, diventandone municipalista (oggi diremmo assessore) dal 24 febbraio ’98; nel 1813 era eletto consigliere municipale; sarebbe stato confermato il 24 aprile 1814, sulla base di un decreto reale emanato il primo dello stesso mese da (un declinante) Murat. Ma ormai l’età napoleonica e i suoi effetti di trascinamento erano da considerarsi conclusi.